Sabato 16 dicembre 2017, alle ore 14.00, presso la Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, Auditorium a Villa Simonetta, via Stilicone 36 a Milano
Nell’ambito della quinta edizione del Seminario annuale di Musica Medievale svolto da Claudia Caffagni, in collaborazione tra la Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano e la Fondazione Levi, dedicato al mottetto italiano del Trecento, il prof. Rodobaldo Tibaldi dell’Università di Pavia/Cremona terrà il primo dei due previsti interventi didattici di approfondimento, aperti anche a studenti di altre classi, su “Il mottetto italiano nel XIV secolo: terminologia, tecniche compositive e ambiti di diffusione“.
Attraverso l’analisi delle principali tecniche compositive, la storia e la geografia dei luoghi di produzione dei manoscritti e delle composizioni di questo particolare repertorio, e un tentativo di periodizzazione cronologica si metterà in luce ciò che il mottetto rappresenta nella tradizione polifonica italiana e l’interesse che gli hanno dimostrato i compositori francofoni che soggiornarono in Italia fra Trecento e Quattrocento.
Nato in Francia nei primi decenni del XIII secolo da una semplice tecnica di prosula, ovvero dall’aggiunta di un testo ad una clausula preesistente, nel corso di pochi decenni il mottetto si è imposto come il principale, se non addirittura l’unico, genere polifonico di carattere sperimentale a tutti i livelli (linguistico, formale, compositivo, notazionale). Uno dei principali problemi affrontati dai compositori è stato quello di organizzare una forma che non poteva basarsi su qualche cosa di preesistente, come una composizione liturgica (gli organa per la messa e per l’ufficio) o un genere poetico (il conductus o forme poetiche analoghe), ma che doveva costruirsi dall’interno secondo meccanismo diversi. La ricerca di elementi unificatori di carattere specificamente musicale portarono, nella Francia della fine del XIII e dell’inizio del XIV secolo, alla creazione e alla successiva codifica in sede teorica di quella organizzazione strutturale del mottetto basata sulla iterazione, nel Tenor, della melodia (color) e del suo schema ritmico (talea), ovvero ciò che modernamente chiamiamo ‘isoritmia’. Il termine mottetto fu quindi intimamente correlato alla sua organizzazione strutturale e formale, con una serie di conseguenze importanti sulla sua destinazione, nonché, per certi aspetti, al luogo in cui tale forma si codificò. Il Trecento vide però la nascita, almeno dal punto di vista delle testimonianze scritte, e l’affermazione di un repertorio polifonico in alcune aree dell’Italia settentrionale e centrale, nelle quali è evidente un interesse verso il genere e la forma del mottetto. Le analogie e, soprattutto, le differenze con il mottetto francese e con quello inglese ne fanno un repertorio particolare sotto diversi punti di vista; ma per comprendere le sue peculiarità è utile tener presente da un lato la tradizione del mottetto francese e inglese del XIII secolo, per lo meno quello degli ultimi tre-quattro decenni, dall’altro il significato che il termine “motetus” o simili (ad es. “motellus”) assume nella trattatistica due-trecentesca francese e italiana. L’analisi delle principali tecniche compositive, la storia e la geografia dei luoghi di produzione dei manoscritti e delle composizioni e un tentativo di periodizzazione cronologica sono tutti elementi utili alla comprensione di ciò che il mottetto rappresenta nella tradizione polifonica italiana; contemporaneamente ci consente di comprendere quale interesse potesse rivestire, insieme agli altri generi della polifonia italiana, per quei compositori francofoni che, nei decenni a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento, arrivano in Italia per soggiornarvi più o meno a lungo. Questi compositori, in primis Ciconia e poi Dufay, assumeranno il ruolo di figure sintesi delle diverse esperienze compositive italiane e francesi; ma sarà nel mottetto più che in altri generi che tale sintesi sarà evidente, segnando contemporaneamente l’apoteosi di una tradizione tardo-medioevale e il punto di partenza di una concezione compositiva nuova, che parte da quelle premesse per trasformarle e trasfigurarle.
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